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la bella morte 281

dubbî, conforto negli accasciamenti, partecipazione alle esultanze. Gelosie cieche, collere bieche lo avevano róso, vedendo circondata, ammirata, desiderata da altri la prediletta, credendola infinta, giudicandola capace di prendersi giuoco di lui; poi, ad un biglietto cortese, ad un invito, ad un sorriso, il paradiso; poi ancora, all’idea di dover presto o tardi partire, di non poter vivere sempre nel cerchio dell’ombra sua, l’inferno.

Vani i tentativi di moderare quella gran fiamma, inascoltati i consigli, inefficaci i conforti. «Vincerai! Amore a nullo amato amar perdona!...» gli aveva detto, nel vederlo disperato, smarrito, perduto; ma sorrisi amari avevano accolto le assicurazioni. «Fingi d’allontanarti! Ingelosiscila!...» gli aveva suggerito; ma si era sentito rispondere: «Non posso!» E sempre un dubbio ansioso, e sempre un’avida domanda: «Mi ama? Mi ama?... È amore? È capriccio?...»

Come rispondergli? Roccaforte non conosceva quella donna se non dalle stesse confessioni dello spasimante. Sapeva, per averla vista a bordo, durante una festa, che era molto desiderabile: alta, di forme ben modellate, bella nel viso, non della semplice e