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un sogno 231

non sapevo come si chiamasse.... Su, in camera, durante la notte insonne, restai a lungo immobile sopra una poltrona, mi buttai vestito sul letto, tornai a levarmi più volte, sempre con lo sguardo all’uscio, come se da un momento all’altro dovesse schiudersi, come se un’ombra bianca, lieve e silenziosa, dovesse apparirvi. Non apparve, ma la vanità dell’aspettazione non mi deluse, come non mi aveva stancato la sua lunghezza. Tanto avevo disperato, prima di parlarle, tanto mi era sembrata lontana, formidabile, inaccessibile, altrettanto mi sentivo ora animato da luminose speranze.

«Il domani la incontrai nella sala di lettura. Le dissi, come la cosa più semplice del mondo, come la sola cosa che dovessi naturalmente dirle:

«— Perchè non siete venuta?

«Mi guardò senza meraviglia; sorrise appena; rispose con un’altra domanda, socchiudendo gli occhi:

«— Perchè mi avete aspettata?

«Allora parlai. Tutto ciò che avevo sentito per virtù sua, il senso di vanità trovato in tutte le cose e l’ebbrezza di vivere accanto a lei, la moltiplicazione di tutte le mie po-