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menica fu un giorno di sospiri, di esclamazioni, di piccoli svenimenti, con un gran consumo di acqua di melissa e di fior di arancio. Per fortuna era festa e la bottega stette chiusa. La gente nella piazzuola, quanto fu lungo il giorno, rimase a contemplare i battenti, le gelosie, la ditta, come accade sul luogo di un grande delitto di sangue, tanto che il medico dovette entrare in casa, passando dalla porta del vicino dopo aver sfondato un tavolato di mattoni.

Don Nunziante il notaio, incaricato da Filippino, trovò il mezzo di interrogare il commendator Berti, direttore generale del Regio Lotto, sull’entità della vincita e sui modi della riscossione e venne verso l’ora del pranzo a dire che, fatti tutti i calcoli necessari, e sottratta anche la parte di trattenuta, per ricchezza mobile, ecc., Filippino Mantica aveva diritto a 455 000 lire, non un mezzo milione, ma giù di lì. I coniugi Mantica ascoltarono con un senso di tristezza questo gran numero.

Essi temevano che fosse l’effetto di una febbre, o che c’entrasse qualche malefizio. Questo stordimento, questo sonnambulismo, durò fino al lunedì, quando il medico li persuase a lasciarsi cavare quattro dita di sangue.

Ma dobbiamo tornare indietro e seguire passo passo il barone.