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rale che vien dal fatto compiuto e dalla convinzione che non resta più nulla a sperare. La sicurezza di avere un santo di più in paradiso rendeva quelle preghiere più calde e confidenti. Non si sarebbe potuto distinguere se pregassero per don Antonio, o se già lo invocassero come un santo protettore.

Quando fu loro concesso, entrarono nella sua stanza in processione e, facendo il giro intorno al letto, baciarono le sue mani e i suoi piedi, toccarono le sue vesti, e si sparsero poi per tutta la casa, nello studiolo, lieti di immaginarlo vivo ancora, seduto nel suo seggiolone davanti a’ suoi libri, che vollero toccare colla riverenza con cui si mette la mano sul messale.

Poi, pigliando il momento che l’acqua taceva un poco e che l’aria si schiariva nel sole, uscirono nel giardino e tutti colsero una rosa per memoria, che appuntarono al petto dopo averla baciata come una reliquia.

Quando Martino cambiò campana e suonò mezzodì, la folla si riversò nella piazzuola e prese a scendere verso le case per il desinare, non più piangente, ma quasi consolata e lieta d’aver baciato le mani del santo.

Pareva una vera festa di maggio con tante rose in seno alle belle ragazze.

Scendevano tutt’insieme, vecchi, ragazze e donne, verso il centro del villaggio, quando videro venire in su, sbuffando, pallido come un fantasma, il segretario che gridava: