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vicino, quando c’era da guadagnare una mezza lira. Stava egli tutto occupato a squartare un montone che aveva appiccato per le gambe all’inferriata d’una finestra, quando vide arrivare un cacciatore senza cane.

— C’è del vino e del cacio, giovinotto?

— Fin che ne volete, galantuomo, — rispose Giorgio; e andò ad asciugarsi le mani sporche di sangue.

Il cacciatore entrò in una stanzuccia a terreno e girò vivamente lo sguardo intorno come se cercasse qualche cosa. Poi sedette innanzi a una tavola coll’abbandono di un uomo molto stanco.

Giorgio tornò ben presto col vino, col cacio e un pane duro sopra un piattello.

— Mi pare di conoscervi, giovinotto...., e non ricordo dove vi ho trovato....

Giorgio fissò gli occhi in faccia al cacciatore e disse:

— Gli uomini si trovano, ma io non so di avervi mai visto....

— Non siete voi per caso parente di quel Salvatore, che sta laggiù a Santafusca?

— Lo sono veramente. Adesso è morto.

— Lo so che è morto, pover’uomo. Era un giusto, un grand’uomo per la bontà. È morto, poveretto.

Giorgio pose la mano aperta sul petto.

— È ciò che si guadagna a servire i signori. Ti succiano il sangue fin che ne hai una goccia nelle vene e danno il carcame al loro cane.