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Il castigo non si fece aspettare. Non era ancora a casa che una tremenda gragnola ruppe e sparpagliò tutte le sue belle rose.


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Da quel momento gli parve che tutto andasse a male, come se il cappello del diavolo avesse portato in casa la maledizione. Di notte quell’ombra nera, che si disegnava sulla parete, e sulla quale scendeva nelle ore chiare il raggio della luna, aveva la forza di rompere il sonno e di non lasciarlo più dormire.

Non poteva più durare così. A costo di farlo volare dalla finestra....

E già stava quasi per eseguire il suo pensiero, quando vide sul cielo del cupolino un biglietto rotondo con una scritta, che diceva: «Filippino Mantica, cappellaio, Napoli, Mercato, 34».

— Noi siamo molte volte assai fatui nella nostra presunzione, — disse a Martino in sagrestia. — Abbiamo tanto strologato di chi poteva essere il cappello e c’è scritto su.

— C’è scritto il nome del padrone?

— Non il nome del padrone, ma quello di chi l’ha fatto, col numero della bottega. Siccome il cappello è nuovo, il sor Filippino saprà a chi l’ha venduto e io purificherò la casa dalla roba degli altri.