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Le care donnine, trascinate, rapite, portate di peso, coi capelli o scomposti o sciolti, aspirate dai gorghi vorticosi dell’ultima danza, palliduccie di gioia, alleggerite ancor più del solito dalle spume del vino d’Asti, che gonfiava i cervelli, scendevano nella danza e vorticavano come pagliuzze in balìa di una dolce bufera.

Che sa mai del suo destino una pagliuzza?

E che ne sa la donna?

— Se si squarciassero i muri — disse la Quintina, la moglie del gobbetto elegante, al Bianchi, che le faceva una corte per ridere. — Se si continuasse a volare così nello spazio del cielo?

— O gaudio! — gridò il Bianchi con un guaiolo di gatto innamorato.

Fu una risata generale. Ordine e soggezione e serietà non era più il caso di pretendere in quelle ore bruciate.

— Ip! ip! ip! — gridavano i più pazzi, battendo coi piedi le note del terribile galoppo.

— Ip! ip! ip! — gridava il Garofoletti, tirando con tutta la forza de’ suoi robusti trent’anni la Pianelli, che rotolava fuori di tempo come una valanga.

Aveva anch’essa in testa un cappellino aguzzo pieno di campanelli, che le faceva comparire la testa quasi colossale.