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misti di presentimenti e di risentimenti, coi quali essa cominciava troppo presto la storia della sua giovinezza. Guai se gli occhi avessero la vista del futuro! A distrarla tornò indietro lo zio Demetrio, che colla piccola ombrella sotto il braccio e il biglietto in mano le fece capire ch’era giunta l’ora d’andarsene.

Giovann dell’Orghen prese la valigia e si avviò verso la scala d’ingresso. Arabella si attaccò al braccio dello zio e lo accompagnò fin sulla soglia. Era pallidissima, ma non piangeva per non conturbare con lagrime inutili la malinconia del viaggiatore. Questi, col corpo in preda a piccole scosse, colle rughe del volto tese a uno sforzo supremo, disse ancora qualche cosa colla mano, mosse le labbra a un discorso che non volle uscire, e lì sulla soglia, sotto gli occhi del controllore, baciò sulla fronte Arabella, mettendole la mano sulla testa, come aveva fatto la sua mamma con lui. E si divisero senza piangere.

Demetrio, quando si trovò solo nel suo scompartimento di terza classe, immerso nella poca luce d’un torbido lampadino giallognolo, potè abbandonarsi interamente, con minor soggezione di sè stesso, alla piena dei varii pensieri, che in quell’epilogo della sua oscura tragedia uscivano da cento parti a invadere l’anima.