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d’una carrozza, senza che Demetrio potesse capire che carrozza volesse dire.

Si voltava nel letto, apriva un poco le palpebre pesanti e impastate, riconosceva la sua stanzetta piena di sole, sentiva l’allegro cicalìo dei canarini sulla ringhiera, la realtà gli stava davanti, ma ne provava un immenso fastidio: tornava a chiudere gli occhi, ricadendo di bel nuovo in una lanterna magica di cose strane, remote, miste, accavallate l’una sull’altra, che, sfasciandosi, cadevano con forti picchi sulla sua testa.

E allora rivedeva pà Vincenzo correr dietro la sua bella Angiolina, che si era incaponita a non rispondergli. Il povero vecchio piangeva come un ragazzo, finchè non usciva dietro una siepe il signor Isidoro colle sue grandi impennate fosforescenti, col suo bastone bistorto in mano, a ridere con un fare insolente e sguaiato.

Dava una scossa al capo, e questa volta non era più un fantasma, ma Giovann dell’Orghen in carne ed ossa che da alcuni giorni si era preso in cura il malato.

Questi si alzava un poco, trangugiava una tazza di acqua fresca che il suo infermiere teneva in mano, gli faceva socchiudere un poco le imposte, lo ringraziava confusamente della sua carità e ricadeva di nuovo in altre dolorose fantasticaggini. Poi nacque con