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ridere, che lasciò Paolino ancora più affascinato.

La povera madama Anita intanto seguitava a sospirare, a contorcersi. Erano tali gli stiramenti del suo povero corpo, e i gemiti piagnucolosi che le uscivano di bocca, che Paolino incominciò a intenerirsi e a soffrire con lei.

— Ci vedi? — chiese il dottore con una voce di uomo che dorme.

— Poco — rispose Anita con un sospiro che usciva di sotterra.

— Che cosa vedi?

— Un muro.

— Essa vede un muro — soggiunse il dottore, volgendosi verso il signore.

Questi schiuse un poco la bocca, come se facesse uno sforzo per parlare, e rimase così.

Con un movimento rapido e quasi stizzoso, l’altro ripetè tre volte sulla testa della paziente un gran nodo di Salomone, lo strinse, lo spremè nelle palme come uno strofinaccio, e ne spruzzò il sugo nelle narici di Anita con tre buffetti della dita.

Girando mollemente il braccio sinistro, cinse e chiuse nel circuito magnetico anche la testa di Paolino, si impadronì di non so qual fluido, pigliandolo coll’atto lesto di chi piglia un pesce che scappa dalla cesta, e disse: