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anzi gli parve di essere tornato un essere ragionevole, un uomo di questo mondo, e procurò di conservarsi tale, sforzandosi di osservare le costruzioni del Milano nuovo che sorgevano come per incanto, e i grandi rettifili, e le botteghe di lusso, e il movimento dei tram e il via vai della gente affacendata, che pensa a far quattrini, che lavora, che produce, che non bada tanto alle ciarle, che se la gode senza tante fisime.

— Gran cittadone, non c’è che dire. Milano è sempre Milano, — andava ripetendo tra sè di man in mano che si avvicinava al centro. — Mi piacerebbe che venisse qui Federico Barbarossa a vedere che cosa è diventato Milano. Non pèrdono il tempo questi birboni: non hanno ancora il gas che già vogliono la luce elettrica: non hanno finita una casa, che la buttano giù per farne una più grande e più bella. E i marenghi corrono in un Milano, dove c’è anche della gente che sa farli saltare.

— Dove andiamo? — domandò Bassano, arrestando i cavalli quasi davanti alle porte del Duomo.

— Tu vai per le tue faccende e mi aspetti per le quattro alle Due Spade.

Paolino scese di carrozza e infilò diritto l’arco della Galleria, mentre Bassano voltava i cavalli verso il Carrobio.