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con due gridi pieni di una disperata protesta, e subito dopo Demetrio se la sentì venir meno nelle sue braccia, come se morisse lì lì.

— Arabella, povera figliuola mia — uscì a dire una voce, che Demetrio stentò a riconoscere per sua, tanto veniva dal profondo dell’animo.

E, come se veramente si snodasse in lui uno spirito nuovo, forte, operativo, fece sedere la fanciulla, ne asciugò il viso grondante, l’appoggiò alla tavola, corse a un armadio a prendere dell’aceto, ne bagnò la fronte e i polsi, la rincorò con paroline d’amore sussurrate all’orecchio, volle infine che prendesse un granello di zucchero tuffato nel rhum; e, quando vide che il sangue rifluiva alle guancie, corse di là, finì di vestirsi, prese alcuni denari, il cappello, il bastone, una cesta di vimini, e rincorata di nuovo la tosetta:

— Andiamo, — disse — ne parleremo con comodo. Non dir nulla per ora. Fu una disgrazia per tutti.... L’aria ti farà bene.... Vuoi appoggiarti? Asciuga gli occhi.

E uscirono.

Giovedì correva innanzi, ma ad ogni svolto di scala si voltava indietro a guardare lo zio e la nipote, e gridava: beb!

Sulla porta trovarono Ferruccio, al quale Demetrio consegnò la cesta e i denari e diede alcuni ordini per la spesa. Per strade se-