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Era Giovedì, la brutta bestiaccia, che egli aveva già cacciata a colpi di piedi nella coda, il giorno che i Pianelli erano andati alle Cascine, e che, dopo una settimana di vita vagabonda, viste dalla strada le finestre aperte, veniva anche lui a cercare qualche cosa per far colazione.

Questo intese dire la povera bestia col suo mugolìo pietoso e col trepido dimenare del suo soldo di coda; ma lo zio gli disse chiaramente:

— Puoi fare il tuo testamento, animale del presepio, se non hai altri santi. Non ne ho del pane per i tuoi denti.

Giovedì, interpretando secondo il proprio cuore le parole brontolate dallo zio, si pose ad abbaiare. Era l’unico mezzo datogli dalla natura per commuovere l’animo della gente.

— Crepa! — disse Demetrio.

— Beb! — abbaiò di nuovo il cagnetto, ponendo le zampe sporche sui pochi calzoni dello zio e mostrando in una doppia fila tutti i suoi denti bianchissimi.

— Scoppia in mezzo, cane del diavolo! — brontolò di nuovo Demetrio, schiaffeggiandogli il muso col fazzoletto di cotone turchino, che adoperò per ripulirsi le ginocchia.

In quel momento l’uscio si aprì e comparve madama, in una grande vestaglia bianca di flanella.