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olio di Beatrice, opera d’uno scolaro del Cremona, amico intimo di Cesarino.

L’artista della scuola nuova s’era sbizzarrito nei gialli, e la bella lodigiana impettita, colle braccia nude, e con curve enfatiche, in mezzo a una nuvola cenerognola, guardava dall’alto con un’aria di regina che non era nell’indole dell’originale.

Demetrio andava mentalmente facendo i conti di quel che si sarebbe potuto ricavare a vendere tutta quella roba a un onesto rigattiere, dato e concesso che fosse già pagata.

Arabella venne a dirgli che la mamma stava vestendosi.

Dietro di lei, coi piedi nudi, quasi nascosto tra le pieghe della gonnella, Naldo fissò gli occhi in faccia allo zio, con espressione di paura, mentre Mario spiava dallo spiraglio dell’uscio.

Rimasto solo tornò a riflettere dolorosamente.

Purtroppo aveva avuto ragione nel giudicare Cesarino una testa leggiera, troppa ragione; ah sì! ci sono dei torti che non si darebbero via per tutte le ragioni della giurisprudenza rilegata in oro e marocchino.

Mentre egli stava seduto sullo scrimolo d’una sedia, come se temesse di schiacciare della roba non pagata, sentì un non so che di morbido che gli spazzolava le gambe.