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ricostituzione del vecchio regime — attentati settarii 31

l'impiegato, gli dice: — Ma non vedete che sono le nove e mezzo? — E quello, con romana fiemma: — E non ringrazia Iddio che ce semo arrivati? — E passando in rassegna le lettere della casella V, risponde: — Niente per Verdi Giuseppe —, e gli volta le spalle. Aneddoto caratteristico, da me udito dall’immortale maestro, che da quel giorno andò alla posta un’ora più tardi.

Il cumulo degl’impieghi era veramente la maggiore magagna, ma non era possibile sradicarla, perchè conseguenza della tenuità degli assegni, che oggi non sembrano neppur verosimili, e della confusione dei due poteri. L’esempio veniva dall’alto, come si vedrà. La condotta degl’impiegati doveva essere «scevra di qualsiasi eccezione religiosa, morale o politica, da comprovarsi con certificati o informazioni riferibili, non solo al tempo presente, ma anche al passato». Questo regolamento restò lettera morta, com’era da prevedersi, anche perchè venne fuori, dopo che il Consiglio di censura aveva fatto repulisti dei funzionari compromessi o sospetti, e ne aveva retrocessi di grado tanti di loro, compresi i militari; anzi tra i militari, e sopratutto fra quelli di grado superiore, fu più larga la strage.

Un grande servizio alla sicurezza pubblica nelle Legazioni fu però reso nel marzo 1851, non dagli austriaci, ma dai gendarmi del Papa, con l’uccisione del famoso Passatore, sorpreso la mattina del 23 nel territorio di Russi, insieme ad un suo compagno, da una brigata comandata dal vicebrigadiere Battistini. Il Passatore era proprio lo spavento di quelle terre. Si chiamava Stefano Pelloni; era nato a Boncellino; e avanti di darsi alla campagna, dopo i primi omicidii, aveva fatto il contrabbandiere sul Po, traghettando con una sua barca le merci di maggior valore, ed aveva avuto per questo, dalla voce pubblica, il soprannome di «Passatore». Quando morì, contava solo trent’anni. Intorno a lui si era creata una leggenda. Si narrava, che una sera apparisse sul palcoscenico del teatro di Forlimpopoli, armato di doppietta, e puntando questa contro la platea, minacciasse dì morte chiunque osasse levarsi, obbligando tutti a consegnargli danaro e ogni altro valore. Condannato a morte, e cercato dai gendarmi e dagli austriaci, vide ridotta la sua banda, da 40 a 18 uomini, ed in ultimo a 15, e fu allora che s’uni a un certo Taselli, soprannominato Giazzola. Scovati dai