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a prua e a poppa 53


con le loro finestre a persiane, e il passaggio coperto che vi sboccava, come una strada pubblica. Lì si andava a vedere il cammino fatto e i gradi di longitudine e di latitudine scritti ogni giorno sopra una lavagnina, appesa alla porta del salone; ci venivano per solito gli ufficiali a prender l’altezza del sole, e ci affluivano le prime notizie della piccola cronaca quotidiana. Era un cantuccio dove si fumava il sigaro con piacere, come davanti a un caffè, con una certa illusione d’esser a terra, e di far vita cittadina. Qualche volta vi cascava uno spruzzo d’acqua improvviso, che innaffiava i ricami e i libri alle signore, e queste scappavano; ma ritornavan poco dopo. E là, nei primi giorni, avevan fatto conoscenza fra loro la maggior parte dei passeggieri.

Quando v’arrivai, quella mattina, mi si presentò da sè, con disinvoltura simpatica, un passeggiero, al quale non avevo quasi badato fino allora, e che doveva esser poi la mia compagnia più piacevole fino alla fine del viaggio. Era un torinese, agente di una casa bancaria di Genova, il quale andava all’Argentina quasi ogni anno; uno di quegli uomini che si danno a conoscere a fondo in un’ora: una figura