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In extremis 345

di prima, e improvviso, come se due braccia gagliarde mi sedessero per le spalle, e una voce brutale mi urlasse sul viso: — Ma sei tu, tu che sei qui, e che devi morire! — Oh! quanto mi pareva assurda quell’idea dei tempi ordinari che sia lo stesso morire in un modo o nell’altro!... Oh morire d’una palla nel petto! Morire in un letto, con le persone care d’attorno, — esser sepolti — avere un pezzo di terra dove i figliuoli e gli amici possano andar qualche volta e dire: — È qui! — Alle volte tutti quei pensieri cadevano, e mi pareva di sentire per qualche momento che la tempesta cominciasse a rimettere un poco della sua furia; ma una nuova formidabile ondata, un nuovo roteamento vertiginoso dell’elice sollevata, come se la poppa saltasse per aria, mi strappava l’illusione. E mi rammento d’una ripugnanza invincibile a guardar il mare, d’un senso di ribrezzo profondo, come della vittima per l’assassino, quasi che in quei momenti avessi davvero coscienza d’una sorta di animalità dell’oceano, e dell’odio suo contro gli uomini, e che, affacciandomi al finestrino, dovessi incontrare mille sguardi orribili fissi nei miei. Guardavo qualche volta, ma ritorcevo gli occhi immediatamente, intravvisti appena i contorni mostruosi