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siviglia. 343


uno tra i quali attribuito ad Alfonso il Saggio, intitolato: Il Libro del Tesoro, scritto con diligentissima cura nella vecchia lingua spagnuola; vidi, — lasciatemelo ripetere, — vidi, — io — coi miei occhi inumiditi, e premendomi una mano sul cuore che mi batteva forte, vidi un libro, un trattato di cosmografia e di astronomia, in latino, coi margini coperti di note scritte dalla mano di Cristoforo Colombo. Egli aveva studiato quel libro quando volgeva in mente il grande disegno, aveva vegliato su quelle pagine, le aveva toccate, forse la sua divina fronte, in quelle veglie faticose, si era qualche volta chinata con uno stanco abbandono su quelle pergamene, e le aveva bagnate di sudore! È un pensiero che fa fremere! Ma c'è ben altro! Vidi uno scritto della mano di Colombo, nel quale sono raccolte tutte le profezie degli antichi scrittori sacri e profani intorno alla scoperta d'un nuovo mondo; scritto del quale egli si servì, a quanto pare, per indurre i sovrani di Spagna a fornirgli i mezzi di tentare la sua impresa. V'è, fra gli altri, un passo della Medea del Seneca, che dice: Venient annis sæcula seris, quibus oceanus vincula rerum laxet, et ingens Pateat tellus. E nel volume del Seneca, che si trova pure nella biblioteca Colombina, accanto al passo citato, v'è una annotazione del figlio Ferdinando, che dice: — Questa profezia è stata avverata da mio padre, l'ammiraglio Cristoforo Colombo, l'anno 1492. — Mi si riempiron gli occhi di lacrime; avrei voluto esser solo per baciare quei libri, per stancarmi a forza di