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300 cordova.


a me stesso: — Io non posso stare in questa città, io ci soffro, io parto!—

E sarei partito in fatti, se in buon punto non mi fossi ricordato che avevo in tasca una lettera di raccomandazione per due giovani di Cordova, fratelli d’un amico mio di Firenze. Smisi il proposito di partire e corsi subito a cercarli.

Quanto risero, quando io dissi loro l’impressione che Cordova mi faceva! Mi proposero d’andar subito a vedere la Cattedrale, infilammo una stradina bianca, e via.

La moschea di Cordova, che venne ridotta a Cattedrale dopo la cacciata degli Arabi; ma che è pur sempre moschea, fu costrutta sulle rovine della cattedrale primitiva, poco lontano dalla sponda del Guadalquivir. Abdurrahman ne cominciò la costruzione l’anno 785 o 786. — Inalziamo una moschea, — egli disse, — che vinca quella di Bagdad, quella di Damasco e quella di Gerusalemme; che sia il più grande tempio dell’Islam, che diventi la Mecca d’Occidente. — Si pose mano all’opera con grande ardore, gli schiavi cristiani portavano alle fondamenta le pietre delle chiese distrutte, Abdurrahman lavorava egli stesso un’ora ogni giorno, la moschea, nello spazio di non molti anni, fu fatta, i Califfi successori di Abdurrahman l’abbellirono, dopo un secolo di quasi continui lavori fu compiuta.

— Eccoci, — mi disse uno dei due ospiti, arrestandosi tutt’a un tratto davanti a un vasto edifizio.

Io credetti che fosse una fortezza. Era il muro