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durante il colèra del 1867. 291

che «se ciò che ne facesse pareva più opportuno.» E la risposta non era ancor detta intera, che quegli sventurati giacevano a terra immersi nel sangue, e non serbavano più traccia di sembianza umana. I municipi, dove se ne eccettuino quei delle città principali, minacciati com’erano e violentati ogni giorno, avevan perduto ogni autorità, e riuscivano impotenti a mettere in atto le misure più rigorosamente necessarie alla pubblica sanità; chè anzi erano costretti a prevenire e compiere ogni desiderio o volere della plebe, a fine di evitare più deplorabili danni. Dapprima il popolo imponeva che non si lasciasse entrare in paese anima viva, e il municipio stabiliva un rigoroso cordone attorno al paese, e ogni commercio cessava; ma appena si cominciavano a risentire i danni di questa cessazione di commercio, il popolo voleva che il cordone fosse tolto; rincrudiva il morbo, e un’altra volta si doveva porre il cordone. E lo stesso accadeva per tutti gli altri provvedimenti, ora voluti, ora disvoluti, secondo che la morìa cresceva o descresceva, secondo che la stravolta fantasia del volgo, per il vario manifestarsi di qualche indizio supposto, li reputava salutari o venefici.

Insomma ogni cosa era sossopra; in ogni luogo un desolante spettacolo di miseria e di spavento; le campagne corse da turbe d’accattoni e sparse d’infermi abbandonati e di cadaveri; i villaggi mezzo spopolati; nelle città cessata ogni frequenza di popolo, deserto ogni luogo di pubblico ritrovo, spento in ogni parte lo strepito allegro della vita operaia, le strade quasi deserte, le porte e le finestre in lunghissimi tratti sbarrate, l’aria impregnata del puzzo nauseabondo delle materie disinfettanti di cui le strade erano sparse; da per tutto un silenzio cupo, o un interrotto rammarichìo di poveri e d’infermi, o guai di moribondi o grida di popolo sedi-