Pagina:Dante E Firdusi, Estratto Rivista d'Italia, 1909.djvu/8


dante e firdusi 195

rigido e anche gretto degli Arabi, con lo spirito alto ugualmente, ma più largo e comprensivo e più sanamente tollerante dei Persiani. La singolar lotta, se fu combattuta a suon di mani e di vituperi volgari per le piazze e per i mercati di Bagdad e delle altre città di Siria, di Mesopotamia e di Persia, in corte, invece, del Califfo e nelle università e nelle moschee e nei collegi fu combattuta con la penna, chiamate in aiuto la storia e l’erudizione, la scienza umana e la rivelata. Prevalsero nel campo scientifico e letterario e nel politico i Persiani, tanto che i troppo fedeli musulmani d’Arabia vedevano con dolore snaturarsi in Bagdad la norma politica, civile e religiosa, dettata dal Profeta in Medina. Non vuolsi però qui, chè non è possibile, tratteggiar questo importante periodo della storia orientale, sì bene, per l’assunto nostro, rilevarne un solo particolare.

Quando, nel fervor della disputa, fattasi omai in qualche parte virulenta e stizzosa, da parte dei Persiani si volle contrapporre agli Arabi, che vantavano la conquista e il benefizio della fede novella da loro recata, alcun che di veramente e regalmente patrio e nazionale, essi ricorsero orgogliosi e fidenti alla vecchia, ma sempre veneranda tradizione epica, e cercarono chi, nella rinnovellata lingua di Persia sottentrata alla pehlevica omai spenta nell’uso, le ridonasse vita e splendore.

Erasi giunti al x secolo e già se n’era oltrepassata la metà, quando, tra per la debolezza del Califfato omai declinante, tra per il prevalere in tutto dello spirito e dell’ingegno persiano, i principi indigeni, scosso il giogo del Califfo pur proclamandosene vassalli devoti, secondarono potentemente quel moto ascendente di tutta la Persia d’allora. I Sâmânidi, appunto nel x secolo, cercarono un poeta che, per loro e in nome loro, ricomponesse, sempre col titolo di Libro dei Re, l’antico racconto epico, e trovarono in Deqîqi, giovane e valente poeta, che si proclamava zoroastriano e dedito agli amori e al vino, chi si sobbarcò volenteroso alla nobile e ardua impresa. Ma l’infelice, giunto a compor soltanto un migliaio di distici, fu trucidato, una notte, da un paggio favorito, e l’opera rimase interrotta. Gli sottentrò, poco più di mezzo secolo dopo, Firdusi, che poetando da principio nella solitaria casa paterna di Tûs nel Khorassân e poi alla corte di Mahmud Ghaznevide, condusse a fine l’opera immortale, quello Shâh-nâmêh o Libro dei Re, che copta sessantamila distici e narra, per duemila anni, la storia mitica ed eroica dell’Iran, piena di avventure meravigliose,