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quindi ricominciava. Soffriva male di star senza lei, la supplicava di perdonargli le sue importunità e se ne scusava con dire che aveva perduto tutto, che solo l’amicizia di lei gli restava. E voleva farsi promettere che sarebbe venuta a Passo di Rovese, per trattenersi a lungo. Ella si schermiva il meglio che poteva dal promettere, cercando in pari tempo di non irritarlo come le era avvenuto la prima volta che s’era parlato di Passo di Rovese e che lei, nel dubbio di poterci venire o no, aveva accennato a suo marito. Cortis s’era fatto cupo, non aveva più aperto bocca per un’ora.

Era stata lei a persuaderlo di chiamare sua madre, il 28, e di parlarle invece di mandar messaggi come egli avrebbe voluto. Colei ci andò difilata dalla Minerva. Cortis le significò molto freddamente e recisamente la propria intenzione di partire presto per l’alta Italia e la propria volontà ch’ella rimanesse in Roma. Parlò in un tono che non ammetteva osservazioni nè repliche. La signora non potè tuttavia stare zitta: augurò a suo figlio, con voce grave e compunta, una cosa ben difficile, una cosa impossibile: che altri affetti potessero sostituire presso di lui l’affetto di sua madre! Soggiunse, congedandosi, che sentiva il dovere di perdonare a quanti le avevano fatto del male, anche ai crudeli che l’avevano esclusa dal cuore di suo figlio. Sapeva bene da chi veniva il colpo, e pregava il cielo che volesse aprir gli occhi a suo figlio sui pericoli di certe amicizie equivoche. Pur troppo non erano più equivoche per nessuno, a Roma, le sue amicizie.

Quando, partita la signora, l’infermiere di Cortis gli rientrò in camera, lo trovò agitatissimo, tre-