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capitolo vii. 93


— Da codesto amore a me basterebbe la vista guarirlo, che nemmeno se ne ricorderebbe. Ma....

E qui una pausa per farsi pregare.

— Guarirlo? disse il podestà, come vorreste guarirlo? Per questa febbre ci vuol altro che medici e speziali.

— Ed io vi dico che vorrei soltanto trovar un suo amico che m’ajutasse, e poi vada il capo se resto bugiardo.

D. Litterio lo guardò un poco per vedere se diceva davvero o da burla, e non è a dire se l’altro sapesse far sì che quest’investigazione gli riuscisse favorevole. Quando si fu mezzo persuaso, gli disse:

— Se non volete altro, questo non vi mancherà.

E ravvolgeva fra sè d’aver egli il merito di questa portentosa guarigione, come si vantava d’aver avuto quello di scoprire il male. E certamente chi avesse operato il miracolo di render Fieramosca compagnone, amico del chiasso e dell’allegria, sarebbe stato portato al cielo dai suoi amici e da quanti lo conoscevano.

E così punzecchiava D. Michele per udire qual modo avesse ad ottenere una cosa tanto difficile, e questi stava sulla sua, facendosi pregare assai, quasi non si fidasse ben di lui. Pure alfine mostrando di lasciarsi vincere gli diceva, come in terra di Turchi avesse veduto usare ed imparato un segreto maraviglioso a spegnere qualsivoglia più furioso amore, e non durò gran fatica a rendersi interamente padrone del cervello di grillo del povero podestà, che stimò gran ventura l’aver trovato costui.

— Il tutto sta, disse alla fine D. Michele, ch’io possa trovarmi per cinque minuti colla sua innamorata: del resto lasciate il pensiero a me.

— Questo, veramente così su due piedi non ve lo potrei promettere. Perchè a dirvela non la conosco. Ma se è in Barletta, o dieci miglia qui intorno, lasciatevi