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conclusione. 307

Levante che lo feriva in viso avea portata più vicina la bufera; larghi goccioloni venivano di traverso, e percuotendo sulla corazza rimbalzavano in ispruzzi; spesseggiano, divengono a poco a poco minuti e fitti. Succede un colpo di tuono, pel quale sembra siasi levata in cielo una cateratta, e cominciava un rovescio d’acqua che lava Fieramosca da capo a piedi benchè lo cogliesse a pochi passi dalla Torre. La porta era ancora aperta, trapassò veloce, e presto fu nell’isola ed alla foresteria. Legato ad una ferriata il cavallo, dov’era dal tetto un po’ di riparo, in quattro salti fu nelle camere di Ginevra. Sarà inutile il dire che le trovò vuote. Ridiscese, ed alla prima pensò di cercarla in chiesa. Sapea ch’essa andava per lo più a pregare in un coretto posto su in alto; appena entrato vi gettò lo sguardo, era vuoto, la chiesa vuota e quasi affatto buja, vuota la parte del coro che si vedeva: pure egli sentiva un salmeggiar cupo, come uscisse di sotterra. Andò avanti, s’accorse che dal foro posto innanzi l’altar maggiore, il quale rispondeva giù nella capelletta, usciva un raggio che andava a figurare nella vôlta un tondo di luce scolorita; quando vi fu vicino, sentì che si recitavan preci nel sotterraneo. Voltò dietro l’altare, e scese. Il suono delle sue armi, degli sproni e del puntale della spada che batteva sui gradini fece volger quelli che formando un cerchio empievano la cappella, s’aprirono; ai piedi si trovò il cataletto che avea visto la mattina nella sagrestia di S. Domenico, in faccia, accanto all’altare, era fra Mariano in rocchetto, stola da morti, e col braccio levato teneva l’asperges; in mezzo un avello aperto; di qua due uomini che ne tenevan ritta la lapide, di là Zoraide ginocchioni, curva sul corpo di Ginevra che era già dentro, singhiozzando le componeva il velo intorno al volto ed una corona di rose bianche sulla fronte.