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colpo al capo con tal furia che, non giugnendo Ettore ad opporre lo scudo, tentò ribatterlo colla spada; ma non resse, volò in pezzi, e quella del francese cadendo sul collarino della corazza lo tagliò netto, e ferì la spalla poco sopra la clavicola. Fieramosca non aspettò il secondo: spintosi sotto, l’abbracciò tentando batterlo in terra, l’altro lasciata la spada pendente, tentava di sferrarsi. Ciò appunto volea Fieramosca; sviluppatosi da lui prima che avesse potuto riprender la spada, dato di sprone al cavallo lo fece lanciarsi da una parte, ed ebbe tempo di spiccar l’azza che pendea dall’arcione, colla quale tornò addosso all’avversario.

Il buon destriere di Fieramosca ammaestrato ad ogni qualità di battaglia cominciò, avvertito da un leggier cenno di briglia e di sprone, a rizzarsi come un ariete che voglia cozzare, e far volate avanti, senza mai scostarsi tanto dall’avversario che il suo signore non lo potesse giungere. Vedendolo lavorare con tanta intelligenza pensava Fieramosca: Ho pur fatto bene a condurti meco! E si portò tanto virtuosamente coll’azza, che venne riacquistando sul francese il vantaggio che aveva perduto.

La zuffa di questi antagonista che potean dirsi i migliori delle due parti, se non decideva della somma della battaglia, quasi però avrebbe deciso dell’onore. Sarebbe stato doppio biasimo per La Motta esser vinto, avendo egli manifestato tanto disprezzo dei suoi nemici; doppia gloria a Fieramosca il riportarne vittoria. I suoi compagni, conoscendo che egli era atto a tal impresa, si guardarono dal prendervi parte, si guardavano anche i Francesi dal porgere ajuto al loro campione, onde non si dicesse che dopo tanti vanti non gli era bastata la vista di star contra un solo. Perciò, quasi senz’avvedersene, per alcuni minuti restaron tutti dal combattere fissando gli occhi ne’ due