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Le mura di Pescara, l’arco di mattone, la chiesa screpolata, la piazza coi suoi alberi patiti, l’angolo della mia casa negletta.

È la piccola patria. È sensibile qua e là come la mia pelle. Si ghiaccia in me, si scalda in me. Quel che è vecchio mi tocca, quel che è nuovo mi repugna. La mia angoscia porta tutta la sua gente e tutte le sue età.

La mia porta mi sembra più piccola. L’androne è umido e tacito come una cripta senza reliquie. Vacillo sul primo gradino della scala. Ho spavento del silenzio. Ho paura di vedere lassù le mie sorelle col capo velato. Un ragnatelo trema nell’inferriata che dà su la corte. Odo chiocciare. Odo stridere la carrucola del pozzo. Il passato mi piomba addosso col rombo delle valanghe; mi curva, mi calca. Soffro la mia casa fino al tetto, fino al colmigno, come