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324 Cuore infermo

vedeva così ritirata in sè stessa, l’anima assente, tanto nascosta da sembrare partita, gli pareva che ella avesse per sè sola un grande segreto, un impenetrabile segreto che li divideva, che le suggellava le labbra, ed egli sentiva il bisogno di ricondurla a sè, chiamandola per nome: essa non gli rispondeva. Marcello tornava a chiamarla due o tre volte: ella pareva che si destasse.

— A che pensi?

— Non so — rispondeva Beatrice abitualmente con un gesto incerto.

Oppure:

— Con chi stai, Beatrice?

— Con te — ed un fittizio lampo di vita, destato dall’amore, le illuminava la fisonomia.

Egli si chinava e la baciava in fronte. A quel contatto un sospiro profondo sollevava il petto di Beatrice.

Le notti diventavano specialmente penose. Le era dolorosissimo sdraiarsi sul letto; affondava nei cuscini, ci affogava. Sul lato sinistro era impossibile giacere. Sentiva materialmente gonfiarsi il suo cuore. Trovava la forza per balzare dal letto. Vegliava sul seggiolone, con qualche breve intervallo di sonno. Per lo più stava presso il balcone, a fissare i punti d’oro brillanti delle stelle. Le notti di maggio erano soavissime, con i mormorii del parco, coi lievi sospiri aleggianti d’intorno, con gli scrichiolii delle foglie, con qualche rapido battere d’ala; dapprima ella trovava tutte queste cose molto belle: comprendeva la loro poesia. Anche quando aveva obbligato Marcello a riposare ed era rimasta sola, le ore non le sembravano molto lunghe. Ma subito un rimpianto amaro le veniva per ogni bella cosa che aveva dattorno, la sua mente si perdeva nell’aumentare le infinite felicità della terra, il mondo era troppo splendido, troppo magnifico, la vita avea troppo valore; l’istinto