Pagina:Cuore infermo.djvu/139


Parte terza 139

— Ho visto Marcello tre o quattro volte dopo il mio ritorno — riprese egli, distendendosi sulla poltroncina e contemplando il soffitto — non mi persuado che egli stia bene.

— Non è stato mai ammalato.

— Vogliamo discorrercela da buoni amici, Beatrice? Ci vogliamo parlare francamente, senza tanti complimenti?

— Io posso ascoltare quello che volete.

— Lo so, che sei una donna di spirito. Cara Beatrice, io credo che tuo marito non sia molto felice in casa sua.

— È lui che vi ha detto ciò? — esclamò ella, arrossendo di sdegno.

— Nemmeno per sogno. Vai in collera, ora?

— No; vi sto ad udire con molta attenzione, padre mio.

— Bisogna confessare che abbiamo avuto la mano mal destra nello sceglierti lo sposo. Un carattere, un temperamento opposto al tuo.

— Così è.

— Ti confesso che mi ero accorto di qualche cosa prima del matrimonio. Mi lusingavo che l’amore...

— L’amore?

— Hai ragione sempre, sono idee sciocche. Sai, figliuola, alle volte il sentimentalismo ci vuole. Tu hai un bel carattere, ne convengo. Ma non è quello che può piacere ad un uomo innamorato... ti dispiaccio?

— No, proseguite.

— Poi, i giovani non sono mai scettici sul serio. Fingono di sogghignare di fuori e fantasticano di dentro. Fanno della poesia: è un’assurdità, siamo d’accordo, ma la fanno. Ve ne ha di quelli che vogliono la passione nel matrimonio. O io mi inganno, o Marcello è uno di questi. È vero?