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il tamburino sardo 95

mazzò. - Ucciso! - ruggì il capitano, addentandosi il pugno. Ma non aveva anche detto la parola, che vide il tamburino rialzarsi. - Ah! una caduta soltanto! - disse tra sé, e respirò. Il tamburino, infatti, riprese a correre di tutta forza; ma zoppicava. - Un torcipiede, - pensò il capitano. Qualche nuvoletto di polvere si levò ancora qua e là intorno al ragazzo, ma sempre più lontano. Egli era in salvo. Il capitano mise un’esclamazione di trionfo. Ma seguitò ad accompagnarlo con gli occhi, trepidando, perché era un affar di minuti: se non arrivava laggiù il più presto possibile col biglietto che chiedeva immediato soccorso, o tutti i suoi soldati cadevano uccisi, o egli doveva arrendersi e darsi prigioniero con loro. Il ragazzo correva rapido un tratto, poi rallentava il passo zoppicando, poi ripigliava la corsa, ma sempre più affaticato, e ogni tanto incespicava, si soffermava. - Lo ha forse colto una palla di striscio, - pensò il capitano, e notava tutti i suoi movimenti, fremendo, e lo eccitava, gli parlava, come se quegli avesse potuto sentirlo; misurava senza posa, con l’occhio ardente, lo spazio interposto fra il ragazzo fuggente e quel luccichìo d’armi che vedeva laggiù nella pianura in mezzo ai campi di frumento dorati dal sole. E intanto sentiva i sibili e il fracasso delle palle nelle stanze di sotto, le grida imperiose e rabbiose degli ufficiali e dei sergenti, i lamenti acuti dei feriti, il rovinìo