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quello cioè di mettersi in braccio di uno de’ due che si disputavano il di lui Regno; quell’errore dal quale il savio Guicciardini ripete l’ultima rovina di quella famiglia, poiché per esso le fu impedito di profittar delle occasioni che ne’ tempi posteriori la fortuna le offrí a ricuperare il trono. Perché dunque il vicario volle frappor del tempo tra la cessione ed il possesso, e lasciar libero lo sfogo all’odio ce il popolaccio avea contro i francesi, quando questi erano abbastanza vicini per destarlo e non ancora tanto da poterlo frenare? Volea la guerra civile, l’anarchia? Tali erano gli ordini della regina?

Il popolo si credette tradito dal vicario, dalla Cittá, dai generali, dai soldati, da tutti. La venuta de’ commissari francesi, spediti ad esigere le somme promesse, accrebbe i suoi sospetti ed il suo furore. Il giorno seguente, corse ai castelli a prender le armi; i castelli furono aperti, la truppa non si oppose, perché non avea ordine di opporsi. Il vicario fuggi come era fuggito il re; il popolaccio corse a Caivano1 per deporre Mack, il quale, sebbene alla testa delle truppe, non seppe far altro che fuggire2. Ogni vincolo sociale fu rotto. Orde forsennate di popolaccio armato scorrevano minaccianti tutte le strade della cittá, gridando «Viva la santa fede!», «Viva il popolo napolitano!». Si scelsero per loro capi Moliterni e Roccaromana, giovani cavalieri che allora erano gl’idoli del popolo, perché avean mostrato del valore a Capua ed a Caiazzo contro i francesi. Riuscirono costoro a frenar per poco i trascorsi popolari, ma la calma non durò che due giorni. I francesi erano giá quasi alle porte di Napoli.

  1. Villaggio otto miglia lontano da Napoli.
  2. È noto che allora depose la divisa di generale del re di Napoli e vestí quella di generale austriaco; si presentò a Championnet e pretendea, qual generale austriaco, non dover esser fatto prigioniero di guerra. Championnet non ascoltò questo miserabile sofisma. Ma da questo fatto ben traspariva l’uomo, il quale dieci mesi di poi avrebbe disfidato a duello Moliterni e poi l’avrebbe egli stesso impedito. Il disfidare non è, a creder mio, un’azione di valore: forse sará un’azione d’imprudenza: ma il disfidare e poi ricusar di battersi è un’azione che riunisce l’imprudenza alla viltá. Traspariva l’uomo, che, prigioniero e libero sulla sua parola di onore, sarebbe fuggito.