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aver molto lavorato a riunir i materiali per questa tale dissertazione, un amico, di cui valuto molto il giudizio, mi disse e mi convinse che con tante ricerche io non avrei dimostrato mai nulla, e che il Cleobolo mio poteva non esser nessuno di tutti i Cleoboli noti. Come va il mondo! e da che mai dipende la gloria umana! Forse questo mio Cleobolo sará stato un sublime filosofo, un prudentissimo magistrato, un invitto capitano: mille azioni avrá fatte degne di memoria; mille poeti, mille oratori, mille storici lo avranno lodato ed altri mille biasimato: eppure, se a mio avo non fosse venuto il talento di costruire una casa di campagna sul territorio dell’antica Eraclea, tanta virtú e tanta gloria non avrebbero salvato il suo nome dall’obblio!

Ho dovuto faticar molto per mettere in ordine i vari frammenti (né altro nome posson meritare) che componevano il manoscritto.

Primieramente era necessario sapere qual ne fosse il titolo. Sventuratamente la prima pagina era la piú maltrattata dal tempo. Appena vi si potean leggere queste lettere, scritte con quelle note, che gli esperti nella paleografia greca chiamano «unciali». e che indican sempre un manoscritto antichissimo1:

ΗΛΑΤΩΝ . . . . . . . ΙΤΑΛ . . .

Ho creduto bene di tradurre Platone in Italia, non perché tal fosse la lettera del testo (e te ne prevengo, benigno lettore, onde non mi accusi di infedeltá o di inesattezza), ma perché questo era il titolo che meglio conveniva all’opera.

Questo libro a chi mai si deve attribuire? a Platone? a Cleobolo? Siccome in origine essa altro non era che una raccolta di epistole, cosí ve ne saranno state di Platone, di Cleobolo, di Archita, di Timeo, e chi sa di quanti altri. Di quelle però che rimangono, il maggior numero appartiene evidentemente a Cleobolo. Pare che, durante il tempo del viaggio, costui abbia scritto piú di Platone, come per l’ordinario avviene in tutt’i

  1. Montfaucon, Paleographia Graeca.