bisogna badare all’opinione della gente in fatto di giusto, di bello e di buono, e de’ loro contrarii1. Dirà alcuno: Eh la gente è pure buona a uccidere!

Critone. Altro se lo dirà!

Socrate. È vero. Ma, o maraviglioso, questo ragionamento che si è rifatto ora, mi par tal quale quando fu fatto l’altra volta; mi par, cioè, che stia ritto. E guarda se sta anche ritto quest’altro, cioè, che s’ha a far grandissimo conto, non già del vivere, ma sì del viver bene.

Critone. Sta ritto.

Socrate. E questo, che vivere bene e vivere onestamente è tutt’uno, sta o non istà ritto?

Critone. Sta ritto2.



  1. Socrate ha ripreso il suo paragone (così perfino Critone lo intende): «Se, dando retta agl’ignoranti, roviniamo il nostro corpo, non campiamo: parimenti, se diamo retta agl’ignoranti e commettiamo ingiustizie, è la nostra anima che s’ammala a morte; o non dobbiamo preoccuparci che la nostra anima s’ammali?» - A un ragionamento così da popolano anche Critone risponde: «L’anima vale ben più dei corpo: bisogna badare che non s’ammali; e poiché s’è assodato che è l’ingiustizia che la fa ammalare, bisogna evitare di commettere ingiustizie». - Qui appunto voleva giungere Socrate. E qui il ragionamento svolta, e va più oltre.
  2. Socrate costruisce, col suo metodo caratteristico: passo passo, fondandosi su quello di cui l’interlocutore non ha potuto non convenire, per poggiarvi su quel che vuole dire ancora. Se l’ingiustizia è morbo e rovina dell’anima, va evitata in ogni caso; e se, per evitare di commettere ingiustizia, bisogna lasciarsi sopprimere dall’ingiustizia altrui, anche in tal caso la ragione comanda di lasciarsi sopprimere piuttosto che bruttarsi e deprezzarsi nell’intimo pregio. Se non si può vivere serbandosi giusti, magari si muoia: chè non vivere è sopra tutto necessario, ma vivere con giustizia.
    Si noti l’equazione del «viver bene» col «vivere secondo onestà». La erediteranno gli stoici, che appunto negheranno che sia bene qualunque cosa non sia la virtù. Solo valore della vita, la virtù; gli altri così detti beni, magari «cose necessarie», ma non beni. La vita cessa d’essere un lieto maggio: quel che splende e olezza è caduco, è ingannevole, non è «bene»; «bene» è solo l’austera rettitudine interiore, muto e solenne premio a sè stessa.