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222 libro primo

l’Europa, ammirava la trasparenza delle acque, la dolcezza dell’aria, lo splendore del cielo. «I miei occhi, diceva, non potevano stancarsi dal guardare verzura così bella, e tanto diversa dal fogliame dei nostri alberi... I fiori e le piante ci mandavano dalla riva un odor sì gradevole e imbalsamato, ch’era la cosa più soave a fiutarsi»; e siccome tutti i punti della spiaggia lo invitavano con varie e nuove vaghezze, così non sapeva a quale dovesse dare la preferenza per pigliar terra.

Nello sbarcare riconobbe la superiorità di quest’isola su quelle da lui già vedute: era piena di magnifici arbori: gran laghi vi mantenevano una freschezza deliziosa: l’erba vi si trovava allora all’altezza ch’è in Andalusia nell’aprile: stormi romorosi di papagalli, passando dall’una all’altra foresta, oscuravano il sole, cotanto erano copiosi: i canti e le brillanti piume di uccelli sconosciuti in Europa, e la purezza dell’aere fragrante lo sorprendevano: le strane produzioni di quell’isola, e l’aspetto cosi caratteristico di questa nuova natura, lo recarono ad imporle il nome della reale associata della sua fede, delle sue speranze e del suo zelo evangelico: l’isola Samoeto fu dunque chiamata l’Isabella.

All’approssimarsi degli stranieri, gli abitanti fuggirono precipitosamente dalle loro capanne, recando seco i loro ornamenti, nè vi lasciando che i loro mobili. L’ammiraglio vietò severamente di allungar le mani sul menomo dei loro oggetti. A poco a poco gl’indigeni, vedendo che non erano inseguiti, si accostarono per fare lor cambi. Alcuni portavano sospesi alle nari piccolissime piastre d’oro, che cambiavano volentieri con pezzi di vetro, di tazze rotte e scodelle di terra-cotta. L’ammiraglio passò due giorni in quell’isola, aspettando l’occasione di un baratto considerevole in oro, che gli era stato fatto sperare: esaminò curiosamente il suolo e la ricchezza della sua vegetazione, e scrisse: «la diversità degli alberi, quella dei frutti onde sono carichi, e i profumi di cui l’aere è imbalsamato, mi empievano di stupore e di ammirazione, e sembrerebbero dover trattenere in questo soggiorno l’uomo che ne ha una volta goduto.»

Nella sua estasi, Colombo si desolava di non conoscere i nomi e le proprietà di que’ vegetali così varii; quindi aggiungeva: