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della redenzione 135


Può darsi redenzione quando esiste un eterno diritto?

«Ah, non è possibile far rotolare il masso «così fu»; eterno dunque dev’essere anche il castigo»: così predicò la follia.

«Nessun’azione può esser distrutta! Come mai la punizione potrebbe renderla non avvenuta? Questo, questo, è l’eterno castigo, che l’esistenza stessa dev’essere in eterno azione e colpa! «Finchè la volontà non voglia redimersi da sè stessa, e il volere diventi la rinunzia al volere»: — ma voi la conoscete, miei fratelli, questa canzone della follia!

Lontano vi condussi da tali canzoni quando v’insegnai: «La volontà creatrice».

Ogni «così fu» è un frammento, un lugubre caso, sino a tanto che la volontà creatrice non abbia detto: «Ma così io volli! Ma così io voglio! E così vorrò!».

Ma la volontà ha forse sinora osato parlare così? E quando è successo ciò? Fu mai sin qui la volontà liberata dalla sua propria follia?

Divenne essa la liberatrice di sè medesima e la dispensatrice di gioia a sè stessa? Ha essa dimenticato lo spirito della vendetta e il digrignar dei denti?

E chi insegnò a lei di riconciliarsi col tempo, questa sublime di tutte le riconciliazioni?

Più in alto d’ogni riconciliazione deve volere la volontà, la quale è brama di dominare. Ora chi le insegnò di voler anche dominare sul passato?

Ma in questo punto Zarathustra interruppe il suo discorso come colui che è in preda al più grande sbigottimento. Con occhio atterrito egli guardò i suoi discepoli; lo sguardo suo penetrava come una freccia nei lor più reconditi pensieri. Ma poco dopo egli die’ in una risata e disse rabbonito:

È difficile vivere tra gli uomini, perchè difficile è tacere. Specialmente per chi chiacchiera volentieri».

Così parlò Zarathustra. Ma il gobbo aveva ascoltato il suo discorso, celandosi il volto; e quando sentì ridere Zarathustra lo guardò curiosamente, e disse lento:

«Perchè mai Zarathustra parla a noi in altro modo che a’ suoi discepoli?».