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prefazione xiii

nazionale; queste significazioni ideali non esistono. Ma si potevano creare.

Ciò avrebbe potuto dare altra luce alla nostra guerra, altra ira al nostro cuore contro l’Europa, altro impeto alla nostra entrata nell'agone imperiale del mondo. Ciò è oggi soltanto timido accenno d’ingenua poesia. Insomma io considero la Turchia antagonista nostra non soltanto per la guerra libica, ma per la sua stessa essenza, per l'essenza del suo imperialismo che è fra tutti il pessimo, mentre a me l'italiano si presenta come il prototipo del migliore. Il quale per me è l'imperialismo nazionale, propagatore della specie e della civiltà, attore necessario nel dramma del loro sviluppo; e l’imperialismo medio è quello plutocratico, pur esso creatore e necessario. E infimo è l'imperialismo dell’orda, distruttore, e di questo ultimo genere è prototipo il turco. Sul grandioso triangolo, Europa, Asia e Affrica, su cui l’impero turco s’eresse, sappiamo benissimo che preesistevano a lui stirpi decadute, greci, arabi, persiani, nè tutto esso distrusse, ma molto trovò distrutto; quando però per scorcio verbale diciamo che fu così, che esso dove giunse distrusse, vogliamo significare che qua e là distrusse, o finì di distruggere, in nessuna parte resuscitò, o suscitò.