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106 rodi dei turchi e de’ cavalieri, Rodi d'Italia

di grano e me la mostrò; tolse una manciata di farina e me la mostrò senza far motto, perchè nè io la sua, nè egli parlava la mia lingua. Io ero nel mondo di tremil’anni fa. Di tanto in tanto la macina si fermava. Perchè? Il vecchietto era così lento al lavoro? Mi sfuggiva che fuori la ruota girava; ma non girava, se il vento non soffiava. Così erano le opere semplici delle prime età.

Sceso ed uscito fuori, ero perplesso, bilanciando insomma il pro e il contro. Rodi, rimasta così indietro nel tempo, era pure una sovrana sede di poesia, un’inaspettata meraviglia in mezzo al Mediterraneo. Sarebbe così, se fosse venuta in mano d’un popolo europeo?

Adocchiai l’Amalfi dinanzi al forte di Sant’Elmo e conciliai il Pro e il contro nel fatto compiuto. Ma noi italiani saremo il popolo delicato e potente che saprà il meno possibile deformare Rodi rinnovandola, restituendole una missione, nel Mediterraneo, tra l’Europa, l’Affrica e l’Asia a cui è congiunta.