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( LIII. )


Appena nati si divora i Figli,
Che pallida, piangente, e disperata
1140Porge la Moglie a lui con man tremante;
Nè con barbara falce, ed inumana,
Più fier d’un Mietitor, che taglia spiche,
L’albero della vita ei tronca altrui,
E i grani seminal dalle radici,
1145Provedendo d’Eunuchi al suo Seraglio,
E di musici Cori al suo Teatro.
Son queste fantasie, favole, e sogni,
Onde i gravi Filosofi, e i Poeti
Vivaci con un vel di bei colori
1150Adombrarono al Volgo alti Misterj.
Sterili già non sono, ed infecondi
Gli allori di Parnaso, e tra lor frondi
Sempre odorose, e verdeggianti sempre
Spuntano frutti di sapor divino.
1155Felice l’Uom, che di quell’almo cibo
Si nutre, ond’ei divien saggio e beato.
Fin or t’ho mostro, che i Pianeti tutti
Son Terre opache, ed abitati Mondi
Ed or ti dico, che il medesmo Sole
1160In mezzo a tante fiamme, a tanti raggi
Di Viventi uno Sciame accoglie, e serba.


Come