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di santo Dionisio, dicendo: E se tanto secreto ver profferse Mortale in terra, non vollio ch’ammiri; cioè io Beatrice non vollio che tu, Dante, ti meravigli, se santo Dionisio, che era mortale in terra, non sallito ancora quassù, proferse nel suo libro preallegato sì grande verità secreta: imperò che le cose del cielo sono secreto a li omini, se già Iddio per sua grazia non le fa loro manifeste. Et assegna la cagione, per che non vuole che Dante si meravigli, dicendo: Che chi ’l vidde quassù; cioè imperò che colui che vidde lo vero secreto quasi sù in cielo, cioè santo Paolo apostolo, quando fu ratto infine al terzo cielo, liel discoperse; cioè liel manifestò cioè lo detto vero secreto, Con altro assai del ver di questi giri; cioè è non solamente la verità dei nomi e del sito delli Angeli; ma eziandio altre verità di quelle che sono nei giri de’ cieli. E qui si può muovere uno dubbio secondo lo testo; cioè: Se santo Paolo non fu ratto, se non infine al terzo cielo, come vidde li ordini delli Angeli? A che si può rispondere che Iddio in quello luogo per sua grazia li fece vedere quello et altre cose; unde elli dice di sè medesimo: Et vidi arcana Dei, quae non licet homini loqui, non che quive e non che a san Paolo; ma a ciascuno potrebbe Iddio in terra ne lo inferno fare vedere li suo’secreti del cielo. E qui finisce lo canto xxviii, et incominciasi lo canto xxix.