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c a n t o   xxii. 601   

22Come a lei piacque, li occhi dirizzai,1
     E viddi cento sperule, che ’nsieme
     Più s’abbellivan con mutui rai.
25Io stava come quei, che ’n sè ripreme
     La punta del disio, e non s’attenta
     Di dimandar: sì del troppo si teme.
28E la maggiore e la più luculenta
     Di quelle margarite inanti fessi,
     Per far di sè la mia vollia contenta,
31Poi dentro a lei udi’: Se tu vedessi,
     Com’io, la carità che tra noi arde,
     Li tuoi concetti sarebber espressi.
34Ma perchè tu, aspettando, non tarde
     All’alto fine, io ti farò risposta
     Pur al pensier di che sì ti riguarde.2
37Quel monte, a cui Casino è nella costa,
     Fu frequentato già in su la cima
     Da la gente ingannata e mal disposta.
40E quel son io che su vi portai prima3
     Lo nome di Colui, che ’n terra addusse
     La verità che tanto ci soblima.
43E tanta grazia sovra me rilusse,4
     Ch’io ritrassi le ville circustanti
     Dall’empio culto che il mondo sedusse.
46Questi altri fochi, tutti contemplanti,
     Uomini furno, accesi di quel caldo
     Che fa nascere i fiori e i frutti santi.
49Qui è Maccario, qui è Romualdo,
     Qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
     Fermaro i piedi e tenner il cuor saldo.

  1. v. 22. C. A. gli occhi ritornai,
  2. v. 36. C. A. da che si
  3. v. 40. C. A. vi portò prima
  4. v. 43. C. A. relusse,