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C A N T O     XXII.





1Oppresso da stupore a la mia guida
     Mi volsi, come ’l parvol che ricorre1
     Sempre colà, dove più si confida.
4Ma quella, come madre che soccorre
     Subito al fillio pallido et anelo
     Co la sua voce che ’l suol ben disporre.
7Mi disse: Non sai tu che tu se’ ’n Cielo?
     E non sai tu che ’l Cielo è tutto santo,
     E ciò che ci si fa vien da buon zelo?
10Come t’avrebbe trasmutato ’l canto,
     Et io ridendo, mo pensar lo puoi,
     Poscia che ’l grido t’ à mosso cotanto?
13Nel qual se ’nteso avessi i prieghi suoi,
     Già ti sarebbe nota la vendetta,
     Che tu vedrai inanti che tu muoi.2
16La spada di quassù non taglia in fretta,
     Nè tardo; ma ch’al parer di colui,3
     Che disiando, o temendo l’aspetta.
19Ma rivolgeti ormai in verso altrui:
     Ch’assai illustri spiriti vedrai,
     Se, come dico, l’aspetto redui.4

  1. v. 2. C. A. come parvol
  2. v. 15. Muoi; muoia, muora, dicesi indifferentemente. E.
  3. v. 17. C. A. Nè tarda mai che
  4. v. 21. Redui, da reduere o reduire, e codesti dal latino reducere. E.