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i n t r o d u z i o n e xxvii

stesse parole1. Nel cinquecento prevalse l’amore della letteratura classica, e la imitazione del Petrarca: la Italia perdè libertà ed energia politica; e le opere di Dante furono studiate da anime non sempre degne di giudicarle. Poi nel seicento mancavano sempre più le vere e grandi cause al poetico entusiasmo, e le false corruppero il gusto letterario. Che se il libero filosofare, e la cognizione della natura ebbero arti migliori e largo incremento, la Divina Commedia fuori della Toscana fu per le mani di pochi, e le altre opere dell’Allighieri quasi dimenticate. Restituitasi al senso del bello la sincerità nativa per la nuova scienza del vero, operossi una opportuna riforma nella provincia delle gentili discipline sulla fine del diciassettesimo secolo, e nel principio di quello decimottavo; ed anco le Arcadie, che a’ nostri tempi sono state pestilenza passeggera o ludibrio, intesero a meritar bene di quella salute pubblica. Ma l’uso libero del pensiero e il sensismo signoreggiante non disponevano bene gli spiriti a intendere perfettamente il linguaggio e la dottrina contenuta nel poema di Dante, e fecero essere quel secolo un giudice fastidioso e superbo o non pienamente giusto verso tali interpreti che usavano le forme imposte dall’autorità nelle scuole, e che trovavano una perpetua allegoria in quel poema2. Noi, i quali dal progresso della civiltà e del sapere siamo oggimai condizio-

  1. Ho conosciuto ciò confrontando con diligenza il Commento del Bargigi sopra la prima Cantica con quello di Francesco da Buti. E noi sappiamo che Milano ebbe presto una copia di questo Commento. Quanto ai Commentatori che scrissero nel quattrocento, veggasi quello che ne dice il Mehus nella Vita di Ambrogio Traversari p. 180.
  2. A sentenza del Tiraboschi que’ primi interpreti della Divina Commedia gittavano il tempo nel ricercarne le allegorie. Stor. della lett. ital. là ove parla di Dante.