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gnare suo figlio Alfredo in un lungo viaggio, e che poi hai mancato alla tua promessa.

― Quanto è lontana di qui la casa della Fata?

― Più di mille chilometri.

― Io non ci voglio venire.

― Padrone tu di non volerci venire ― rispose Golasecca, facendosi serio ma io ti ci porterò per forza!

― Voi non mi ci porterete....

― Perchè?

― Perchè io scapperò!

― Scapperai? ― urlò l’assassino mugghiando come un toro ferito. A buon conto, rientra subito dentro la mia tasca, e domani all’alba partiremo. ―

Così dicendo, Golasecca abbrancò con una mano lo scimmiottino e lo ripose al buio, assicurando la tasca con quei tre soliti bottoni grandi e spropositati come tre ruote da carrozza. Poi, cavatasi la giacca, la gettò sopra una sedia e appoggiando il capo al muro, disse a Moccolino:

― Io farò un sonnellino su questa panca, e tu bada bene all’alba di venirmi a svegliare.

― Dormite tranquillo, ― rispose l’oste: e presa la candela, se ne tornò su nella sua cameretta.

Ora bisogna sapere che Golasecca aveva un bruttissimo vizio: quello cioè di russare: e russando, faceva con la bocca un certo fischio lamentevole e prolungato, come quello che fanno gli uccellini quando vedono calare il falco.

Nel sentir questo fischio, Nanni, il bellissimo gatto soriano di Moccolino, entrò in punta di piedi nella stanza, annusando qua e là, forse con la speranza di trovare qualche uccelletto scappato di gabbia.