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Scese quindi al pianterreno e aprì la porta dell’osteria.

Golasecca, che aveva ripresa la statura d’un uomo comune, entrò dentro scotendosi i panni che gocciolavano; e postosi a sedere dinanzi a una tavola apparecchiata, domandò all’oste:

― Che cosa mi dài per cena?

― Tutto quello che desidera Vostra Signoria. Non deve far altro che comandare.

― Che cosa c’è di carne?

― Nulla di carne.

― E di formaggio?

― Nulla di formaggio.

― E di pane?

― Nulla di pane.

― Che cosa posso dunque mangiare? ― domandò l’assassino, tentennando il capo e cominciando a perdere la pazienza.

― Se Vostra Signoria desidera delle frutta.....

― Che cos’hai di frutta?

― Ciliege, mandorle e pèsche.

― Dammi un bel piatto di pèsche.

― E a me, un bel piatto di ciliege ― disse una vocina, che uscì dalle tasche del vestito di Golasecca.

― Chi è che mi ha chiesto le ciliege? ― balbettò l’oste, tutto impaurito e maravigliato.

― Sono io ― rispose la solita vocina.

― Non dubitare, ― interruppe Golasecca, digrignando i denti ― non dubitare, Pipì, che le ciliege te le darò io.... e ti darò qualcos’altro! A buon conto, esci subito fuori, e facciamo i nostri conti. ―

Così dicendo, il capo-masnada sbottonò la tasca della