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Ma dopo pochi minuti, ecco la solita vocina, che diceva raccomandandosi.

― Sor assassino, che mi darebbe un chicco d’uva, o una ciliegia, o anche una mezza pera solamente? Sono digiuno da tanti giorni, e sento che lo stomaco mi va via. Lo creda, sor assassino, ho una fame così grande, che la vedo anche al buio!...

― Se hai fame ― rispose Golasecca, ― ridendo di un riso sguaiato e canzonatore ― fruga nella mia tasca, e ci troverai tante ghiottonerie, da prendere un’indigestione.

― Sono tre giorni che frugo: ma non mi riesce di trovarci nulla.

― Allora mangia la fodera della tasca.

― La prima fodera l’ho bell’e mangiata: la seconda è troppo dura e non mi riesce di roderla.

― L’hai mangiata davvero? ― urlò Golasecca, andando su tutte le furie. ― Brutto scimmiottino! Lasciami arrivare all’Osteria delle Mosche, e non dubitare che aggiusteremo i nostri conti!... —

Intanto si era fatto notte.

E che notte orribile e indiavolata! Il cielo appariva tutto coperto di nuvoloni: lampeggiava e tonava: gli alberi della foresta, sbatacchiati da un violentissimo vento, si divincolavano, cigolavano e urlavano, come tante anime disperate.

A mezzanotte in punto, Golasecca arrivò dinanzi all’Osteria delle Mosche: ma l’osteria era chiusa.

Picchiò alla porta una volta, due volte, tre volte: e nessun rispose.

Allora, con quanto fiato aveva ne’ polmoni, si diè a gridare: