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― Come sei uggioso! Benedetto i ragazzi e chi ci s’impiccia? ― brontolò Cesare sottovoce.

Senza perdersi in altre chiacchiere, aprirono l’uscio di camera e parve loro di sentire qualcuno che si allontanasse in punta di piedi.

― Che sia lo zio Eugenio? ― domandò Pierino, rattenendo il fiato.

― Quante paure! Lo zio, per tua regola, è andato a letto prima di noi. ―

E, per esserne più sicuri, nel passare davanti alla camera dello zio, stettero un po’ in ascolto, e lo sentirono russare come un contrabbasso.

Giunti nella strada, richiusero la porta adagio adagio e senza far colpo.

La serata era freddissima, ma bella; uno stellato, che faceva innamorare a guardarlo!

I tre fratelli, tenendosi per la mano come tre buoni ragazzi che andassero a scuola, camminavano sul marciapiede: quand’ecco che sentirono dietro a loro una vocina di galletto che faceva: Chiù-chiù-chiù!

Si voltarono e videro una figura magra e tutta nera, con un paio di corna in testa, che saltava e faceva mille sgambetti.

― Che sia il diavolo? ― domandò Pierino, cominciando a tremare.

― Ma che ti vai diavolando? ― dissero i suoi fratelli. ― Non vedi che è una maschera? Fermiamoci, e lasciamola passare avanti. ―

E si fermarono: ma il diavolo si fermò anche lui.

Allora i tre ragazzi, per non compromettersi, traversarono la strada andarono dall’altra parte.