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Nel tornare a casa, andava fantasticando:

— Se quelle cento lire le potessi vincer io!... Che bel signore che diventerei!... Metterei su carrozza e cavalli!... comprerei una bella villa con tanti poderi.... e poi, tutti i quattrini che mi rimanessero in tasca, li darei alla mamma per le spese di casa.... Eppure!... se avessi coraggio, tenterei davvero la fortuna! Chi mi dice che la mascherata inventata da me non riuscisse la più bella di tutte?... Per inventare una mascherata non ci vuol poi un gran talento!... Non è come il latino o la grammatica, perchè quelle sono due cose uggiose, e per impararle bisogna essere sgobboni.... Qui basta avere un po’ di genio! A buon conto, non bisogna dir nulla a nessuno: specialmente a’ miei fratelli. Guai se Orazio e Pierino sapessero qualche cosa!

Nel dir così, si trovò quasi senza avvedersene alla porta di casa, e suonò il campanello.

Orazio, per l’appunto il suo fratello Orazio, fu quello che aprì.

— Giusto te! — disse Cesare con aria di gran mistero appena entrato in casa.

— Che t’hanno fatto?

— Nulla.... Ho detto così per ischerzo.

— Eppure, a vederti in viso, si direbbe....

— Nulla, ti ripeto, nulla. Se fossi matto a confidarmi con te!...

— Hai forse qualche segreto?

— Vedi! Se te lo dicessi, saresti capacissimo di andarlo subito a raccontare alla mamma. La mascherata la farò; oramai ho detto di farla, e la farò: ma te e Tonino non dovete saperne il gran nulla.