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― Dove? ― gridarono i ragazzi a una voce. Nella macchia di Tentennino?... —

― E nel dir così, si scambiarono fra loro un’occhiata sbarazzina e maligna, che tradotta in lingua parlata voleva dire: «Ora abbiamo capito tutto!...»

Il povero caporal Leoncino, vedendosi oramai scoperto, diventò di tutti i colori, come i segnali delle strade ferrate.

― E guardi, padron lustrissimo, ― continuò il guardaboschi ― come me l’hanno conciata questa povera bestia!... Se sapessi chi s’è preso il divertimento di bastonarla a questo modo, pover’a lui!... ―

Leoncino, che aveva le lacrime in pelle in pelle, uscì di corsa dalla stanza, e andò a rinchiudersi in camera.

Venuta la sera, disse allo zio che voleva tornarsene subito a casa sua, dal suo babbo e dalla sua mamma. Lo zio Giandomenico si provò a sconsigliarlo e a farlo restare ancora per qualche giorno: ma non vi fu verso.

Mentre era sul punto di salire in tranvai, i suoi cugini (sempre un po’ monelli), lo baciarono e gli dissero addio; ma intanto gli bisbigliarono in un orecchio:

― Continua a combattere con le volpi impagliate: ma ricordati qualche volta il proverbio che dice: «Chi non ha coraggio, non vada alla guerra.» ―