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l’affrontare, senza alcun bisogno, i più grandi pericoli? nel saltare per semplice passatempo dai primi piani? nel montar ritti sulla soglia delle finestre? nel camminare in cima ai tetti? nel correre all’impazzata sulle spallette dei fiumi? nell’arrampicarsi in vetta agli alberi? nell’andare a bagnarsi dove l’acqua è più alta, senza saper nuotare?... No, carino mio, no: queste non son prove di coraggio; queste sono temerità imperdonabili, queste sono bravure da matti, che provano solamente la grande spensieratezza e il pochissimo giudizio di voialtri ragazzi!

A questa parlantina fatta co’ fiocchi, il povero Leoncino restò così confuso, che non trovava il verso nè di rispondere, nè di guardare in faccia lo zio.

Intanto, tutto afflitto e mortificato, andava pensando dentro di sè:

― E io che speravo di aver trovato il modo di riguadagnarmi il grado di comandante!... mentre è proprio un miracolo se oggi non ho perduto anche gli scevroni di caporale!... ―

Ma non si dette per vinto! Anzi, il giorno dopo, ricominciò a stillarsi il cervello per trovare qualche nuovo ammennicolo, che valesse a dare una prova di quel coraggio, che egli non aveva, ma che avrebbe voluto avere.

Ora bisogna sapere che, dall’oggi al domani, era capitata appunto nei dintorni di quella campagna una grossa volpe.

Questa famelica bestia, spavento e flagello di tutti i pollai, non solo mangiava i galli, le chiocce, le pollastre e le galline vecchie, ma occorrendo, divorava allegramente anche i pulcini e i galletti di primo canto, senza nessun riguardo alla loro tenera età.