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― E se qualche ragazzaccio si pigliasse la confidenza di sciuparmi il cappello, tu credi che io non avessi il coraggio?...

― Il coraggio di far che cosa?

― Di scappare e di andar subito a raccontarlo alla mamma!... Per tua regola, io non ho paura di nessuno.

― Lo so che lei è dimolto coraggioso: tant’è vero che la sera, quand’è entrato a letto, vuol sempre la candela accesa. Guai a lasciarlo al buio!

― Che cosa c’entra la candela col coraggio? Il coraggio è una cosa, e la candela è un’altra: ne convieni? E poi, devi sapere che il mio maestro di ginnastica ha promesso fra sei o sett’anni d’insegnarmi la scherma.... e quando saprò la scherma.... allora, te lo dico io, non avrò più paura di nessuno. Ma insomma, Veronica, me lo fai questo piacere, sì o no? —

Gigino, mi dispiace a doverlo dire, aveva un altro difetto, comunissimo del resto a molti ragazzi, quello, cioè, che quando cominciava a chiedere una cosa, non la finiva più, fino a tanto che non l’aveva ottenuta. E a furia di ripetere e di pigolare la medesima cosa diventava così noioso e così seccatore, da sfondare lo stomaco.

Prova ne sia che la Veronica, pur di levarsi di torno quel tormento, prese dispettosamente il goletto, e tagliatone un pezzo e ricucitolo alla meglio con pochi punti, lo ridusse adattato al collo del suo padroncino.

Chi più beato, chi più felice di Gigino? Ballando e saltando corse a rinchiudersi nella sua camerina, e lì tanto fece e tanto annaspò, che finalmente potè guardarsi nello specchio col suo nuovo goletto intorno al collo.

Ma il nuovo goletto era così alto e così duramente