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Fatto sta che in famiglia, per un vezzeggiativo, cominciarono subito a chiamarlo Napoleoncino: ma poi, avvedutosi che questo vezzeggiativo era troppo lungo, gli tagliarono le due prime sillabe (Na-po), e di un Napoleoncino, ne fecero per risparmio di fiato un economico e modesto Leoncino.

Il piccolo guerriero crebbe a occhiate, e a dieci anni era già diventato un bel ragazzo. Correva, ballava, saltava, faceva la ginnastica, e cosa singolarissima! qualche volta anche studiava.

Di burattini e di altri balocchi non voleva saperne. L’unica sua passione erano le sciabole di latta con l’impugnatura dorata e i fucilini a saltaleone, da caricarsi in tempo di pace coi lupini secchi, e in tempo di vera guerra coi sassolini di ghiaia e coi noccioli di ciliegia.

Il suo babbo poi, per contentarlo e per coltivargli sempre più lo spirito marziale, gli aveva fatto fare anche l’uniforme di generale d’armata, con le spalline di bambagia gialla come lo zafferano e con un berretto di panno scuro, ornato di un bel nastro di tela incerata e rilucente, che, veduto da lontano, pareva proprio un gallone d’argento.

Venuto il tempo delle vacanze, Leoncino fu condotto a villeggiare in casa di un suo zio, ricco possidente di campagna.

Questo zio aveva una nidiata di cinque figliuoli, tutti bambinetti fra i sette e gli undici anni. Figuratevi la contentezza di Leoncino, quando si trovò in mezzo a quegli altri cinque monelli.

Com’è naturale, pensarono subito, tutti d’accordo, di fare i soldati. Arnolfo, il più piccolo dei cugini, nominato